Personalità

Per «personalità» si intende abitualmente l'insieme di caratteristiche psicologiche che contraddistinguono un individuo nel corso del tempo e nelle varie situazioni: un'architettura relativamente stabile di tendenze comportamentali (o tratti), stili cognitivi, preferenze (o motivi), disposizioni valutative (o atteggiamenti), che permettono di riconoscersi e di distinguere gli uni dagli altri. Molti studiosi contemporanei, d'altro canto, ritengono che l'insieme di tratti, stili, motivi e atteggiamenti che contraddistingue ciascuna individualità sia solo la manifestazione apparente della personalità. La personalità, in realtà, è anche e soprattutto l'insieme di strutture e processi psicologici che conferiscono unità e continuità all'esperienza individuale e rendono conto delle sue diverse espressioni fenomeniche. Lo stesso termine serve perciò a indicare sia delle proprietà sia delle qualità. Le prime conferiscono a ciascun individuo il senso della propria identità e perciò la coscienza della propria unità, continuità e «agenticità». Le seconde permettono di distinguere ciascuna persona rispetto alle altre, nella sfera della condotta, del pensiero e dell'affettività.

Possiamo accostarci allo studio della personalità secondo due differenti prospettive, parimenti essenziali, ma che dischiudono due diversi percorsi conoscitivi: quella del soggetto, cosciente di sé, e quella degli altri che interagiscono con lui.

Adottando il punto di vista del soggetto che entra in relazione col mondo in prima persona (io sono, io faccio, io sento), la personalità è l'insieme dei pensieri, sentimenti e inclinazioni che sostanziano il senso della propria identità, integrità e singolarità (tutti sono parte di me e io sono unico). Secondo tale prospettiva, la ricerca mira a rendere conto delle strutture e dei processi che stanno alla base del senso di identità personale, della continuità dell'esperienza, dei significati, dei propositi e dei valori che improntano ciascun corso di vita. La personalità si configura come un sistema «agentico», cioè un sistema in grado di influenzare l'ambiente e il proprio funzionamento, in quanto sistema autoriflessivo e proattivo. Tale sistema risulta dall'integrazione di molteplici sottosistemi biologici e psicologici operanti di concerto, in sequenza e in parallelo. Coscienza di sé e intenzionalità sono, proprietà distintive di tale sistema che, sia pure in gradi diversi a seconda delle età e delle circostanze, permettono a ciascun individuo di regolare le proprie azioni in conformità alle esigenze e alle pressioni dell'organismo e dell'ambiente, e in accordo con valori e scopi personali.

Adottando il punto di vista degli altri con i quali il soggetto interagisce nella rete di rapporti sociali entro cui scorre la vita di ciascuno, la personalità è invece l'insieme di caratteristiche che, relativamente a determinati criteri socialmente condivisi, permettono di cogliere le somiglianze e le differenze tra le varie persone, e ciò che è distintivo di ciascuna persona. Secondo tale prospettiva, la ricerca mira a rendere conto delle differenze individuali che improntano le relazioni interpersonali, che permettono a ciascuna persona di orientarsi socialmente, di presentare se stessi e di riconoscere e distinguere le altre persone. La personalità si configura come una costruzione sociale, di cui le varie disposizioni ad agire, sentire e conoscere rappresentano gli elementi costitutivi. Ciascuna personalità appare la risultante di transazioni con gli altri, che lungo tutto il corso di vita portano a cristallizzare e adeguare costantemente specifiche tendenze comportamentali e credenze relative alle proprie qualità personali, e con esse un senso coerente di sé.

Si tratta di prospettive evidentemente diverse, ma che in definitiva convergono nel riconoscere nella personalità un sistema psico-biologico-sociale, che emerge dalla concertazione di diversi sistemi biologici in interazione con l'ambiente, e che trova a livello sociale le condizioni e le forme della propria attualizzazione. Si tratta, fondamentalmente, di un sistema unitario e complesso, che affonda le proprie radici nel biologico e che realizza tutte le proprie potenzialità nel sociale, grazie a proprietà emergenti di autoregolazione che accordano a ciascuna persona ampi gradi di libertà nel decidere il corso della propria vita.

La riflessione su quanto contraddistingue la personalità e permette a ciascuno di riconoscersi e distinguere le altre persone ha un lungo passato, ma una storia di ricerca sistematica relativamente recente. La storia a noi nota di tale riflessione è principalmente quella della cultura occidentale, che rintraccia le proprie radici nell'antichità classica e i cui sviluppi, sino all'età moderna, corrispondono alle vicende che hanno segnato i progressi di una concezione della persona umana come parte della natura e, in quanta tale, oggetto di indagine scientifica. Nonostante che altre civiltà si siano sviluppate prima e indipendentemente da quelle greco-romana e giudaico-cristiana, con proprie concezioni della persona e dei suoi rapporti con il mondo, il loro contributo agli sviluppi del la psicologia della personalità è stato relativamente marginale, sino a un'epoca molto recente. La psicologia della personalità cui abitualmente facciamo riferimento trova le proprie premesse agli inizi dell'età moderna, nella speculazione filosofica sul temperamento, sul carattere, sul giudizio morale, e nelle prime congetture anatomo-fisiologiche sulla localizzazione cerebrale delle facoltà mentali tra il XVIII e il XIX secolo. Tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo si profilano due indirizzi che sono destinati a caratterizzare gli sviluppi successivi della disciplina sino ai giorni nostri: quello orientato allo studio delle differenze interindividuali nelle sfere dell'azione e dei sentimenti, e quello orientato allo studio delle forze e dei meccanismi che sottendono tali differenze.

Un indirizzo di impronta strutturalista ha privilegiato la ricerca sugli elementi che stanno alla base delle varie differenze individuali. La personalità si è venuta a configurare come un'organizzazione gerarchica nella quale talune caratteristiche generali (dimensioni o disposizioni) rappresentano gli elementi essenziali, al vertice di una ipotetica piramide, dai quali via via derivano le varie disposizioni sino ai singoli specifici comportamenti. Un indirizzo di impronta funzionalista, invece, ha portato a privilegiare l'esame delle relazioni dell'individuo con l'ambiente fisico e sociale, del cambiamento e delle funzioni adattive della condotta. La personalità si è venuta a configurare come un sistema che si sviluppa nel corso dell'ontogenesi sotto la spinta di pressioni interne ed esterne con lo scopo di mediare, e per quanto possibile ottimizzare, gli scambi tra l'organismo e l'ambiente. Le intuizioni di F. Galton e di W. Wundt hanno inaugurato una lunga tradizione di studi sulle principali differenze individuali nella sfera dell'intelligenza, dei sentimenti e del temperamento. Le riflessioni di W. James hanno dato impulso e un'impronta durevole alla ricerca successiva sul Sé. I contributi di P. Janet e di S. Freud hanno aperto scenari del tutto nuovi alla ricerca sui processi che, oltre l'esperienza cosciente e le manifestazioni visibili dell'individualità, rendono conto dell'integrazione delle varie I unzioni emotive e cognitive, della coerenza della condotta e dell'unità e continuità dell'esperienza.

Soprattutto la psicoanalisi ha esercitato un'influenza pervasiva su tutta la ricerca sulla personalità nel corso della prima metà del xx secolo. Nata come metodo per il trattamento di particolari disturbi nervosi, la psicoanalisi si è presto caratterizzata come una vera e propria teoria generale del funzionamento psichico, e infine come la teoria maggiormente in grado di render ragione dello sviluppo, dell'adattamento e delle principali variazioni della personalità. Non è perciò sorprendente che la psicoanalisi abbia rappresentato, per molti studiosi della personalità, la teoria per eccellenza, e per molti altri un termine di confronto ineludibile, sino a epoche recenti. Nel periodo che va dalla metà degli anni '30 sino ai primi anni '50, i progressi della psicologia della personalità, come di larga parte della psicologia, sono quelli che avvengono negli Stati Uniti. In tale contesto, la psicoanalisi esercita un grande fascino nella formazione dei clinici e la teoria dell'apprendimento una grande influenza nella formazione dei ricercatori.

Non sono mancati contributi importanti di studiosi europei come W. Stern, K. Lewin e L. Vygotskij, che anticipavano importanti progressi successivi, ma la cui influenza sullo sviluppo della disciplina è stata prevalentemente indiretta e solo più tardi adeguatamente riconosciuta. Stern è stato tra i primi a proporre una concezione della personalità come unitas multiplex, a richiamare l'attenzione sulle sue caratteristiche di unità, indivisibilità e intenzionalità, e a riconoscere il ruolo attivo che ciascuna persona può esercitare sull'ambiente e sul corso delle proprie esperienze.

Lewin ha anticipato molti dei temi che hanno contraddistinto poi i vari indirizzi cognitivisti e interazionisti, ponendo al centro dell'indagine psicologica le percezioni che le persone hanno del mondo e perciò le loro costruzioni della realtà e le relazioni che ne derivano. Secondo Lewin, le ragioni della condotta, dei sentimenti e delle aspirazioni di una persona vanno rintracciate nella totalità degli eventi, interni ed esterni, che sono psicologicamente rilevanti, e perciò in relazione a come essi si rappresentano alla mente del soggetto.

Vygotskij ha precorso la concezione della personalità come costruzione sociale, indicando nelle relazioni interpersonali le fondamenta del suo funzionamento e sviluppo. Secondo Vygotskij, le azioni, le rappresentazioni mentali, gli affetti che dalla nascita sostanziano le relazioni del bambino con chi si prende cura di lui costituiscono i modelli che gradualmente vengono interiorizzati per orientarne in modo stabile il pensiero e l'azione. Nella relazione con gli altri, e nel dialogo che questi instaurano con lui, il bambino impara a dialogare con se stesso e perciò a pensare e a riconoscersi. Le opportunità che vengono fornite nei vari contesti sociali e culturali decidono le abilità che servono nella vita e improntano tutto lo sviluppo della personalità. Quanto accade nella sfera dell'interpersonale viene a plasmare l'intrapersonale, in accordo con le regole di convivenza che valgono in un determinato contesto storico e culturale.

Nel quadro della psicologia americana, G. Allport e H. Murray sono i principali fautori di una nuova disciplina, espressamente dedicata allo studio della persona umana nella sua unità e totalità. I loro contributi sono stati determinanti nel promuovere il riconoscimento della psicologia della personalità come ambito di indagine autonomo nel quadro più ampio della ricerca psicologica, nel fissarne gli scopi e nell'indicarne i metodi. Secondo questi studiosi, la ricerca sulla personalità assolve a una funzione di integrazione delle varie discipline psicologiche e di riconciliazione tra i vari indirizzi. Mirando a cogliere la persona nella sua totalità, essa ambisce a rendere conto di ciò che è comune, e insieme unico, ai vari individui, delle proprietà che contraddistinguono la personalità umana come sistema unitario cosciente di sé, e delle caratteristiche singolari che contraddistinguono ciascuna individualità. Essa ambisce inoltre a rendere ragione del modo in cui il divenire e l'agire di ciascuna persona si accordano, da un lato, con i vincoli e le opportunità segnati da natura e cultura e, dall'altro, con i gradi di libertà di cui ciascuna persona dispone nell'orientare il corso della propria vita.

L'ambito di indagine della ricerca sulla personalità è molto vasto: esso comprende le molteplici manifestazioni che distinguono le persone le une dalle altre nella sfera dell'azione, degli affetti e del pensiero, le strutture e i processi che sottendono tali manifestazioni, le esperienze che contribuiscono o stanno all'origine delle varie differenze individuali. Nel repertorio concettuale degli psicologi della personalità assumono particolare rilievo i concetti di tratto, disposizione, bisogno, motivo, valore.

I metodi sui quali la psicologia della personalità fa affidamento comprendono metodi «nomotetici» e «idiografici». Mentre i primi tendono a individuare i principi e le regolarità generali che spiegano il divenire e l'agire di un sistema soggettivo unitario, i secondi ambiscono a rendere ragione dei fenomeni unici e irripetibili, e perciò delle particolari combinazioni di elementi ed eventi che danno luogo a individualità differenti. A partire dai contributi di Allport, Murray e Stern, l'ambizione di larga parte degli studiosi della personalità è stata quella di aprire la strada a una conoscenza più ampia della strutture e dei processi che sottendono il senso di identità personale e la coerenza e la stabilità delle varie disposizioni individuali. Gli anni '50 del '900, in particolare, sono stati anni di grandi ambizioni e di grandi promesse. Lo studio della personalità rappresentava il punto di incontro e di confronto tra indirizzi teorici e metodi diversi come quelli della psicoanalisi, della teoria dell'apprendimento e della psicologia dei tratti. Comprendeva tra i propri temi il Sé, i motivi, i tratti, i processi di socializzazione e l'apprendimento, lo sviluppo e il cambiamento e, tra i propri cultori, studiosi molto diversi che in vario modo hanno profondamente influito sugli sviluppi successivi della disciplina come H. Eysenck e R. Cattel, A. Maslow e C. Rogers, R. Sears e J. Rotter, G. Kelly e G. Klein.

Il consolidamento di una disciplina capace di integrare i saperi di ambiti specialistici diversi e di trarre vantaggio dai contributi di orientamenti concorrenti si è tuttavia rivelato, negli anni seguenti, tutt'altro che facile. I progressi dell'indagine psicologica hanno comportato processi di emancipazione e separazione tra le diverse branche interessate ad approfondire gli aspetti evolutivi, sociali e clinici, che sono infine approdati al consolidamento di vere e proprie discipline autonome. Contemporaneamente, si sono palesate tutte le difficoltà della ricerca empirica su temi tanto complessi, quanto difficilmente afferrabili, come sono quelli relativi all'intreccio di affetti, cognizioni e disposizioni comportamentali che danno conto dell'esperienza, così come vissuta dal soggetto stesso, e dell'immagine di stabilità e continuità che si presenta all'osservatore esterno.

Lo studio delle differenze individuali nella sfera delle tendenze comportamentali, e quello dei processi e meccanismi che spiegano tali differenze, hanno continuato a delimitare l'ambito di indagine, entro il quale si sono venute a confrontare ipotesi diverse sul ruolo dell'eredità, dell'apprendimento, e dei processi di socializzazione, nel dettare lo sviluppo e il funzionamento della personalità. La necessità di un ancoraggio empirico compatibile con i criteri delle altre discipline scientifiche, d'altro canto, si è associata a un ridimensionamento delle grandi visioni speculative e, spesso, a un restringimento degli interessi di ricerca verso aspetti particolari della personalità come la motivazione, gli stili cognitivi e di attribuzione, o singole variabili come l'ansia, il focus of control, l'aggressività.

Alcuni studiosi, come Eysenck, hanno sostenuto con vigore l'esistenza di strutture biologiche che, sin dal concepimento, predispongono al manifestarsi in grado diverso di disposizioni (come l'estroversione e la stabilità emotiva) che improntano significativamente il rapporto dell'individuo con la realtà. Secondo costoro le cause delle differenze fenotipiche sono in larga parte da rintracciarsi, nella persone, in vere e proprie disposizioni genotipiche. Altri, invece, come A. Bandura e W. Mischel, hanno continuato a ritenere che potesse essere fuorviante assegnare un ruolo causale a ipotetiche strutture biologiche, i cui nessi con le varie espressioni della personalità sono del tutto incerti, soprattutto in presenza della grande variabilità e malleabilità della condotta. Sono stati perciò inclini a trattare le varie disposizioni come tendenze comportamentali risultanti dall'abitudine, e perciò a focalizzare la loro attenzione sulle situazioni e sulle esperienze che possono favorirne il cambiamento o il consolidamento.

Il dibattito tra studiosi attestati nel ribadire il primato di disposizioni individuali largamente fissate in natura e quelli convinti, invece, del primato dell'apprendimento delle esperienze di socializzazione, si è prolungato sino agli anni '70, quando è sembrato che l'impostazione interazionista potesse finalmente ricomporre le divergenze.

In realtà, la personalità rispecchia, in tutte la sue manifestazioni, la coazione di natura e cultura, e perciò interazioni plurime e influenze continue e reciproche tra componenti biologiche, psicologiche e sociali.

Gli anni '80 hanno mostrato che, più che di una conciliazione, si è trattato di un aggiornamento del confronto. Il dibattito infatti continua, ai nostri giorni, tra gli epigoni della psicologia delle differenze individuali (McCrae e Costa, 1999) e i moderni interpreti dell'approccio sociale-cognitivo (Caprara e Cervone, 2003).

I primi sono convinti dell'esistenza di alcuni tratti di base geneticamente determinati, cioè dell'esistenza di alcune tendenze ad agire che sin dall'origine improntano ciascuna personalità e mediano ogni altra influenza dell'ambiente. Per costoro cinque fattori di base - i cosiddetti Big Five - corrispondenti a estroversione, amicalità, coscienziosità, stabilità emotiva e apertura all'esperienza, rappresentano il genotipo della personalità, e perciò il materiale che la natura consegna alla cultura, e dal quale, per l'azione congiunta dell'una e dell'altra, derivano tutte le altre espressioni dell'individualità.

I secondi, invece, ritengono che coscienza e intenzionalità siano proprietà emergenti e distintive della personalità umana che, da un lato, attestano la grande flessibilità del patrimonio genetico e, dall'altro, accordano alla mente umana notevoli gradi di libertà rispetto alle richieste dell'organismo e dell'ambiente. Secondo costoro, la personalità non soltanto interpreta e veicola le richieste dell'organismo in accordo con i vincoli e le opportunità dell'ambiente, ma agisce sull'uno e sull'altro in accordo con scopi e criteri personali, contribuendo così a segnare il corso del proprio sviluppo.

La ricerca contemporanea sulla personalità comprende: lo studio delle strutture e dei processi che rendono conto del senso di identità, della continuità dell'esperienza e della coerenza della condotta di ciascun individuo; lo studio delle interazioni tra fattori biologici, psichici e sociali e delle relazioni interpersonali che sorreggono e improntano il corso di vita; e infine lo studio delle caratteristiche individuali che, nella sfera della cognizione, della motivazione e dell'azione, permettono di riconoscere e distinguere le varie persone. Si tratta di un vasto territorio che abbraccia i temi della stabilità e del cambiamento, della crescita e del declino, dell'adattamento e del benessere, delle convinzioni personali, dei bisogni e dei valori, degli scambi e dei legami che segnano le varie esistenze individuali.

Tuttora permangono differenze profonde tra gli studiosi. Alcuni assegnano all'eredità un ruolo decisivo nel rendere conto delle principali disposizioni individuali. Altri, pur riconoscendo l'utilità pratica delle disposizioni per descrivere, distinguere, ed eventualmente fare previsioni, non credono che esse possano servire a spiegare il corso di uno sviluppo e uno stile di vita. Ciononostante, pur con differenti argomentazioni ed enfasi che rispecchiano tradizioni e itinerari di ricerca diversi, la maggior parte degli studiosi contemporanei concordano su alcuni assunti generali. Innanzitutto, nel configurare la personalità come un sistema unitario che risulta dalla concertazione di molteplici sottosistemi biologici e psicologici e che opera al servizio dell'adattamento e dello sviluppo. Quindi, nel ritenere che la personalità si sviluppi tramite interazioni continue con l'ambiente, secondo rapporti di influenza reciproca in cui il soggetto ha un ruolo attivo nell'improntare il proprio corso di vita. Le configurazioni di affetti, cognizioni e comportamenti che contraddistinguono ciascuna persona rispecchiano, ovviamente, le opportunità, i vincoli e le transazioni che ne hanno segnato l'esistenza. Ma le capacità di autoregolazione permettono di esercitare un controllo sulle proprie esperienze e sulla realtà circostante, controllo che può esser sempre maggiore in ragione di come le potenzialità vengono realizzate e di come le abilità vengono coltivate e rafforzate. Infine, nel ritenere che vi sia una sostanziale coerenza e continuità nelle diverse espressioni di ciascuna personalità, che possono essere pienamente apprezzate solo esaminando l'intero corso di vita.

Un ulteriore elemento di convergenza è rappresentato dalle convinzioni, largamente condivise, della necessità di promuovere, per quanto possibile, il più ampio e rigoroso pluralismo metodologico. Evidentemente è difficile fare esperimenti in ambiti in cui si misura tutta la potenza e la fantasia della concertazione di natura e cultura. È però possibile, attraverso lo studio accurato delle differenze individuali, delle popolazioni, delle culture, non meno che attraverso lo studio approfondito delle biografie, avvicinarsi a quanto di comune caratterizza la personalità umana e a quanto di specifico contraddistingue ciascuna individualità. In tale prospettiva la composizione delle varie strategie di ricerca sperimentale, correlazio-nale e clinica appare assai più promettente della tradizionale competizione fra teorie.

GIAN VITTORIO CAPRARA